
La scultura e la luce. Queste due materie si qualificano reciprocamente come forma. Dunque fare una scultura è fare una forma che dia forma allo spazio. La materia di cui ora si serve è una plastica trasparente, che sembra fatta apposta per appropriarsi della luce e condensare lo spazio infinito nella geometria dei propri piani e volumi. Ogni ulteriore, eventuale determinazione formale si produrrà dentro il blocco geometrico in cui spazio e forma sono una cosa sola. Allora è possibile, anzi frequente l’intervento di altre materie e altre forme, che fin da principio si qualificano come interne: come il congegno nella cassa dell’orologio. Il paragone non è causale, l’idea fissa di Brook mi pare quella dell’orologio spaziale, di un’immaginaria clessidra, che filtri lo spazio invece che il tempo. La finalità della ricerca plastica, per lui, non è altro che questo riprodurre o addirittura imprigionare nei confini trasparenti di uno strano, inquietante e tuttavia nitidissimo oggetto un frammento dello spazio universale, un impercettibile movimento o trasalimento del cosmo. La sua modernissima, ineccepibile tecnologia è soltanto uno strumento, come i sestanti che gli antichi usavano per le misure celesti: in realtà la sua intenta contemplazione del cosmo, il suo furtivo appropriarsi di frammenti di spazio cosmico rilevano ancora l’attitudine del primitivo. Ma forse la morale, se ne ha una, del discorso è appunto questa, che con tutta la presente e futura tecnologia, con tutto l’orgoglio della sua scienza, davanti all’infinito moto del cosmo l’uomo sarà sempre nella condizione del primitivo.
Giulio Carlo Argan – marzo 1978
ricerche e archivio Federico Alfani per Studio Farnese – Roma